Steven Wilson @ Gran Teatro Geox – Padova

Cliente: LIVE NATION ITALIA

13 Novembre 2013 Teatro Duse - Bologna

14 Novembre 2013 Gran Teatro Geox - Padova

Un anno d’oro per il compositore e polistrumentista Steven Wilson. Uno degli alfieri del progressive rock contemporaneo, ricordato come fondatore della band Porcupine Tree e, non da ultimo, eccellente in ambito solista. La critica internazionale ha seguito con entusiasmo la pubblicazione del suo ultimo lavoro di studio, “The raven that refused to sing”, album ambizioso che Steven Wilson sta promuovendo in tutto il mondo con un tour di raro impatto e tensione emotiva. Un tour che ci sentiamo di avvicinare, per intensità e grado di coinvolgimento, a un’altra opera progressive che ha lasciato un segno indelebile nella storia della musica, ovvero “The Wall” dei Pink Floyd. Steven Wilson popola il suo mondo di figure sconfitte e furiose, fantasmi di criminali e assassini che si aggirano tra versi e note alla ricerca di perdono o, quantomeno, di qualcuno che ascolti il loro grido.

Il Gran Teatro Geox di Padova è stata la cornice scelta per una delle date italiane, lo scorso 14 novembre. L’atmosfera si è dimostrata fin da subito fuori dal comune: luci soffuse, volumi non eccessivamente elevati, nessun flash dal pubblico a disturbare l’esibizione; insomma, l’ambiente ideale per uno show intrigante, un piccolo microcosmo in cui immergersi per un paio d’ore, prendere parte alle storie narrate, conoscere personaggi e volti immaginari.

Sul palco, cinque musicisti d’eccezione: Guthrie Govan alla chitarra, Adam Holzman alle tastiere, Theo Travis al flauto e sax, Chad Wackerman alla batteria -in sostituzione a Marco Minnemann, impegnato in un altro progetto- e Nick Beggs al basso. Steven Wilson conduce con mano ferma la musica, quasi il prolungamento naturale del suo estro creativo; per nulla schivo o introverso, dialoga apertamente con il pubblico, raccontando storie e trama delle composizioni. Il set vede scorrere tutti i pezzi dell’ultimo album, alcuni successi degli anni passati come “Trains” o “Raider II”, concludendo con un paio di brani inediti e non ancora registrati. L’esecuzione è impeccabile: a tratti ci si dimentica di essere di fronte a musicisti che stanno suonando live, tanto il risultato sonoro è indistinguibile rispetto al lavoro in studio. Non un calo di tensione, non una sbavatura, nemmeno nel caso delle composizioni più lunghe e complesse -26 minuti nel caso di “Raider II”!

L’effetto è al tempo stesso rilassante e disturbante: sono il dolore e la violenza a strisciare in platea, insinuandosi nelle pause tra le note e scorrendo nelle immagini proiettate sul telo trasparente steso sul palco. Le creazioni di Steven Wilson sono abitate da uomini nudi, indifesi, abbattuti, violenti; l’aria è lacerata dalla sofferenza, ma in un modo che non è mai brutale, bensì composto, controllato, venato di malinconia e rassegnazione.

Alla fine del concerto di Steven Wilson l’entusiasmo per l’esibizione, l’ammirazione per il livello tecnico ed espressivo dei musicisti lasciano spazio a ben altri pensieri. Il muro che separa ogni uomo dall’altro, ognuno con i propri fantasmi e le proprie ferite, è ancora in piedi. Nessun “Outside the wall”, nessuna riconciliazione.

Uscendo dal teatro, il sorriso in bocca è amaro: i protagonisti di quelle canzoni, in fondo, sono più simili a noi di quanto si potrebbe credere. - powered by Kick Agency -