Skunk Anansie @ Gran Teatro – Roma 2014

Cliente: THE BASE

19 Marzo 2014

(fonte www.onstageweb.com di Francesco Chini)

Gran Teatro, Roma, 19 marzo 2014 Skunk Anansie. Ci sono applausi e applausi. C’è quello scrosciante, quello discreto, quello sguaiato, quello irritante offerto nei momenti sbagliati dello spettacolo, quello che va a tempo. E poi c’è l’applauso di gratitudine vera, che diventa sempre più raro ma ancora si riconosce: non ha bisogno di crepitare a chissà quali volumi, ma è pieno, costante. Caldo.

Un applauso vero come quello che il pubblico del Gran Teatro di Roma, nell’attesa degli Skunk Anansie, si ritrova meravigliato a tributare alla sorprendente apertura affidata al one-woman-show della bravissima Karima Francis in un tiepido e umido mercoledì di quasi primavera: chitarra e voce, intensità, confidenza, zero ruffianerie e tutto cuore, il miniset della cantautrice di Blackpool rivela consistenza autorale e vena intima degne di una Tracy Chapman appena meno introversa. Un’artista da approfondire senza esitazioni, e un ottimo inizio di serata.

E naturalmente ci sono gli applausi attesi ma non per questo meno grati: sono quelli che sommergono gli Skunk Anansie al loro ingresso e che saranno una costante nella scaletta di successi del fiammeggiante e vitale show dei londinesi. Un vero regalo alla platea capitolina.

Chiariamo subito che i Skunk Anansie non riescono fino in fondo a lasciar scorrere il concerto senza cercare un impatto che, unplugged o meno, è nato e sempre resterà quello fisico e urgente del loro rock. Padrona assoluta della scena dall’alto di un magnetismo e di una vocalità che gli anni sembrano solo arricchire, Skin fa e disfa: chiama il pubblico sotto il palco negli attimi più concitati (non solo un’attesissima – e riuscitissima – Charlie Big Potato, ma anche I Believed In You, My Ugly Boy o la conclusiva I Can Dream), lo rimanda in poltrona per quelli più distesi, scende dal palco a trovarlo, rimprovera la security per gli zelanti tentativi di impedirne le foto, ride, scherza con tutti, ha l’aria serena e seducente.

E se pure il suo canto non mantiene davvero fino in fondo il dichiarato intento di esplorare un’interpretazione chissà quanto più morbida del solito, a fine concerto si scoprirà che non serviva: basta dosare il solito – comunque generoso – ardore e le emozioni ti assalgono puntuali e potentissime. Dal punto di vista dello spettro sonoro, invece, è nel lato più melodico del repertorio, come previsto, che si addensano i picchi del tipo di show messo su dagli Skunk Anansie: Skin, Ace, Cass, Mark e compagni. Sì, perché (tolta una stratosferica cover della già splendida You Do Something To Me di Paul Weller) tra i suoni taglienti e cristallini, eppure caldi, spicca il gusto dei nuovi arrangiamenti che riescono nel piccolo miracolo di ripulire e mettere a fuoco i pezzi, senza mai banalizzare o perdere incisività.

Più che gli Skunk Anansie sembra di sentire una versione contemporanea degli Eagles: lo mette in chiaro l’avvio struggente di Brazen (Weep), lo ribadiscono I Hope You Get To Meet Your Hero eCharity e lo sanciscono definitivamente le prevedibili apoteosi di Secretly, You’ll Follow Me Down e – ovviamente – Hedonism. Skunk Anansie finalmente in pace con se stessa, che va come un treno, vitale, assoluta. Uno spettacolo che ciascuno farebbe decisamente bene a non lasciarsi sfuggire. - powered by Kick Agency -