Jackson Browne @ Auditorium – Roma, 2015

Cliente: The Base

24 Maggio 2015

(Foto di Simone Giuliani per RockLab)

Jackson Browne sembra aver fatto un patto con il diavolo

Il concerto di Jackson Browne all’Auditorium Parco della Musica di Roma, non è stato solo uno spettacolo dal vivo con belle, anzi bellissime canzoni, ma un vero e proprio tuffo nel passato, oltre che una rimpatriata tra vecchi amici che non si vedevano da tempo, ma il cui legame è ancora saldo.

C’è stato un periodo, molto prima dell’avvento di YouTube e di Spotify, in cui la musica era una lente di ingrandimento sulla realtà, personale e al tempo stesso collettiva. Jackson Browne e i cantautori della West Coast, in particolare, hanno coniugato grandi storie e melodie immortali in brani dove la voglia di libertà andava di pari passo con la denuncia di ciò che non andava nella società americana. Canzoni che oggi non risentono della polvere del tempo, ma che sono ancora in grado di sprigionare la loro magia anche presso un nuovo pubblico di ascoltatori, nati dopo l’epopea della Laurel Canyon.

Tutto questo per spiegare che il concerto di Jackson Browne di ieri sera all’Auditorium Parco della Musica di Roma, il primo del suo tour italiano, non è stato solo uno spettacolo dal vivo con belle, anzi bellissime canzoni, ma un vero e proprio tuffo nel passato, oltre che una rimpatriata tra vecchi amici che non si vedevano da tempo, ma il cui legame è ancora saldo. Per una sera l’ “io”, la dimensione dominante della società dei selfie e del solipsismo tecnologico, ha lasciato di nuovo spazio al “noi” in un grande abbraccio collettivo a Jackson Browne.
Jackson Browne sembra aver fatto un patto con il diavolo per quanto porta bene le sue 66 primavere. Certo, i lunghi capelli lisci oggi sono più grigi, le rughe rivelano che il cantautore non è più il ragazzo che quarant’anni faceva strage di cuori femminili, ma la luce negli occhi e il sorriso gentile sono sempre gli stessi del periodo di "Doctor my eyes", il primo singolo dell’omonimo album di debutto del 1972, così come la voce, che ha acquistato più colori.

Il concerto è iniziato puntuale pochi minuti dopo le 21, quando il cantautore ha fatto il suo ingresso accolto dal fragoroso applauso dell’affollata Sala Santa Cecilia, la più grande dell’Auditorium progettato da Renzo Piano. Attacca il jack alla chitarra, ma non è soddisfatto del suono. “Benvenuti al soundcheck!”, afferma giocosamente Browne. Così ci ripensa e si siede al pianoforte.
Le prime note sono familiari e chiamano l’applauso per "Before the deluge", una delle sue canzoni più celebri e amate dal pubblico. In "The barricades of heaven" fanno il loro ingresso le due coriste Chavonne Stewart e Alethea Mills, che con le loro voci nere rendono ancora più emozionante la canzone.
Dopo la suggestiva "Something fine", Jackson Browne presenta una delle sue ultime composizioni, la godibile "The long way around", scandita dalla batteria funky di Mauricio Lewak, seguita dalle atmosfere country-western di Leaving Wislow.
“Adesso canterò una canzone molto vecchia, che ho scritto quando avevo sedici anni”, sottolinea Jackson Browne, che incanta nell’intensa ballad "These days".
In "You know the night" rende omaggio a Woody Guthrie, nume tutelare di Bob Dylan e di Bruce Springsteen, con una canzone scritta partendo dal testo di una lettera del leggendario folk singer.
Gli evergreen "For a dancer" e "Fountain of sorrow" chiudono nel migliore dei modi il primo set.
Il tempo di una breve pausa e il concerto riprende con "Your bright baby blues", che mette in luce la perizia tecnica alla chitarra slide del multistrumentista Greg Leisz.

Dalle tribune arrivano le prime richieste e Browne accontenta chi gli chiede il classico "Rock me on the water". "Standing in the Breach", che dà il titolo al suo ultimo, convincente album, viene presentato come un brano “sulla capacità che ha l’uomo di reagire di fronte ai disastri”, mentre "The Birds of St. Marks", scritta nel 1970, è ispirata a Nico, che Browne da ragazzino accompagnava in un locale di St. Marks Place a New York e con cui ebbe una breve relazione. Grandi emozioni in "The road", cantata da tutto l’Auditorium, che viene conclusa con una strofa di "Una città per cantare", la versione italiana del brano fatta da Ron.

Finale in crescendo con tre capolavori, "Doctor my eyes", con un assolo strepitoso del suo storico chitarrista Shane Fontayne, "The pretender" e "Running on empty", che fa scattare il pubblico in piedi e sotto al palco per ballare. Jackson Browne e la band si congedano per qualche secondo, per poi rientrare poco dopo e regalare i bis "Take it easy" e "Our lady of the well". Il pubblico della Sala Santa Cecilia gli tributa una lunga e meritata standing ovation. Il cantautore, quasi commosso per l’incontenibile affetto, accenna un inchino con la testa e si mette la mano sul cuore per ringraziare.
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