Ben Harper @ Auditorium Parco della Musica – Roma 2014

Cliente: THE BASE

11 Maggio 2014

(fonte - www.outsidersmusica.it di Luca Nasetti, foto di Roberta Camilli)

A Ben Harper basta “solo” la vocebasta “solo” una chitarra. Un piano, un amplificatore e un microfono. Il buio della sala e il silenzio del pubblico sono già lì. Al set del tour nei teatri di Ben Harper pare non serve altro, pare. “Mi scusi signor” Ben Harper, così però non vale: quasi nessuno può permettersi di gremire lasala Santa Cecilia dell’Auditorium portandosi dietro “solo” un po’ di chitarre, lei gioca facile, ha con sé vent’anni di successi e canzoni. Per questo il tour le ripropone “solo” in versione acustica, da Welcome to Cruel World all’ultimo Get Up!, il live è una carrellata omaggio al country-blues in salsa Stax dei brani più famosi, una celebrazione che regala ad Amen Omen o Waiting on an Angel, Excuse Mister Presidente Please Bleed (per citarne alcune) una veste nuova: melodica e meno strillata, più cantata e se vogliamo recitata. Ben Harper si muove libero sul tappeto del palco, sceglie con libertà lo strumento ideale per il prossimo pezzo, intervalla il silenzio con qualche battuta che il pubblico romano sembra apprezzare, ma non può permettersi di far attendere oltre. Peccato però non aver accompagnato quel blues alla dodici corde con qualche percussione, peccato non aver alternato di più il country californiano al soul del Tennessee, peccato non aver inserito qualche assolo distorto, peccato aver visto alcuni fan storcere la bocca per aver sentito Jah Work e Don’t Give Up on me now in versioni che «hanno perso grinta e corposità». Chi si aspettava il solito Ben Harper  forse è rimasto un po’ deluso, anche perché tre ore di unplugged possono risultare monotone, ma il concept del tour è proprio questo: il palco diventa “solo” un ponte dal quale i pezzi partono e raggiungono l’altra sponda attraversando un deserto lungo venti anni. Per forza di cose le canzoni necessitano di essere rivisitate, necessitano più introspezione, perché questa volta Harper voleva mostrare altro: non il rock, il funk o il pop bensì l’anima.Tanto che Ben Harper ha chiamato sul palco anche la mamma Ellen Chase Vendries per mettere da parte il groove e il rock e far posto alla “sola” emozione del canto. L’americano doc porta un pezzo di California in Italia e invade gli spazi della sala con un live melanconico e il cuore in mano. Così viaggiano via nell’aria pezzi come A House is a Home e City of Dreamsche lentamente introducono l’atmosfera forse al brano più atteso della serata: l’Halleluja di Leonard Cohen resa celebre da Jeff Buckley in una versione che da “sola” ha riempito di lacrime l’Auditorium. La sera fa posto alla notte, la musica di Harper ammalia e stordisce, tanto che a fine concerto non resta che lanciarsi sotto palco nella speranza di toccare anche solo per un secondo il Mito. “Mi scusi signor” Ben Harper: così proprio non vale. - powered by Kick Agency -