Avenged Sevenfold @ Rock In Roma 2014

Cliente: The Base

19 Giugno 2014

(fonte www.metallized.it foto di Emanuela Vh. Bonetti, Stefano Mastronicola, Luigi Orru)

È ormai cosa nota che gli Avenged Sevenfold siano una delle band più chiacchierate dell’intera scena metal post 2000 e spesso si tratta di chiacchiere senza fondamento. Avenged Sevenfold, per quanto possa essere considerata “poser” dai puristi (guai se si ci si discosta da ciò che si ascolta di solito), è stata autrice di magnifiche composizioni e protagonista di un progressivo cambiamento. Cambiamento che ha accompagnato gli Avenged Sevenfold sempre in meglio, partendo da un metalcore di pregevole fattura per arrivare ad un alternative con spunti addirittura progressive (City Of Evil e Avenged Sevenfold ne sono la dimostrazione), inglobando infine elementi più classici come si può sentire su Nightmare. I veri problemi sono nati proprio durante la gestazione di Nightmare a causa della morte del maggior compositore, nonché anima della band, Jimmy “The Rev” Sullivan.

Tutti immaginavano che la mancanza di Jimmy -il quale già prima della sua prematura morte aveva scritto Nightmare nella sua interezza e completato la stesura di tutte le sue parti di batteria-  si sarebbe fatta pesantemente sentire e il suddetto timore si è inevitabilmente concretizzato con l’ultima uscita, ovvero Hail To The King. Il disco, inutile dirlo, è scialbo, un’accozzaglia di idee trite e ritrite che spesso fanno da copia/incolla con colonne portanti del metal (This Means War è la versione ridicola di Sad But True). Gli Avenged Sevenfold hanno perso tutta la propria originalità e quel marchio di fabbrica che la contraddistingueva, per andare ad arenarsi in un mare di banalità, diventando un gruppo “metal” come tanti altri. Questa gigantesca introduzione serviva semplicemente a far comprendere lo spirito con cui mi sono diretto al concerto, scontento di un album sostanzialmente brutto e almeno speranzoso che i nuovi pezzi assumessero una veste quantomeno degna in sede live. Diciamo che è andata esattamente come temevo.

Dopo essere arrivato tardissimo all’Ippodromo -una ventina di minuti prima dell’inizio del concerto-, aver regalato la bellezza di cinque euro a quello che probabilmente sarà stato un parcheggiatore abusivo, e aver comunque conquistato la terza fila, ho cominciato a guardarmi un pochino intorno. Inutile dire che la fan base degli Avenged Sevenfold rimane uno dei punti deboli più evidenti;  schiere di tredicenni/quindicenni -sia chiaro che non ho assolutamente nulla contro ragazzi e ragazze di tale età, ma mi infastidiscono particolarmente quelli davvero sciocchi, che reputano bello tutto ciò che fa la propria band preferita, anche se si tratta di una montagna di sterco fumante- esaltati ogni dove, tra cui la parte femminile già ampliamente “su di giri” per i musicisti che da li a poco sarebbero saliti sul palco. Dopo uno sguardo al palco mi sono reso conto della limitata, anzi inesistente, scenografia della band. Le uniche cose disposte sul palcoscenico –non enorme nemmeno quello- erano il drumset rialzato di Arin, alcune pedane per permettere a Matt i suoi soliti movimenti verso il pubblico e un telo con un grande deathbat sul fondale, unica parvenza di scenografia. Già questo mi aveva fatto abbastanza storcere il naso ma la cosa che più mi ha lasciato infastidito è stata la completa assenza di qualsiasi tipo di fuoco. Proprio questo punto ha portato alcune divergenze tra la band e l’organizzazione del Rock in Roma poiché i primi hanno affermato che non gli sia stato permesso di portare qualsivoglia tipo di fuochi, mentre l’organizzazione afferma di non aver imposto alcuna limitazione, ricordando anche come l’anno passato sia stato permesso ai Rammstein di esibirsi senza problemi.
Detto ciò, con estrema precisione, gli Avenged Sevenfold sono saliti sul palco all’orario prestabilito per iniziare il proprio show che nonostante tutto, almeno per quanto mi riguarda, è cominciato in maniera molto flebile, probabilmente anche a causa dell’apertura lasciata ad una traccia estratta proprio dall’ultimo lavoro, ovvero Shepherd of Fire. La canzone non spicca minimamente, risulta piatta; il riff, palesemente ispirato ai Metallica del Black Album ed estremamente ridondante. Fortunatamente le due tracce successive riescono a capovolgere completamente l’esito della prima traccia. Si tratta nientemeno che di Critical Acclaim Bat Country ed è inutile dire che la resa è tutt’altra cosa. Le tracce potenti ma allo stesso tempo melodiche ed ispirate rendono perfettamente, dando un gigantesco smacco all’ultimo lavoro e creando un divario netto tra ciò che è stato composto con The Rev e tutto quello che è venuto dopo. Nonostante tutto si nota una certa legnosità da parte della band (soprattutto di Synyster Gates), che sembra leggermente fredda e distaccata, ad esclusione di Johnny Christ; ovviamente non lo si può ancora affermare con sicurezza, le tracce suonate sono poche e potrebbe essere solamente un’impressione. Dopo la fantastica parentesi dei due precedenti cavalli di battaglia la serata degli Avenged Sevenfold cade nuovamente nella banalità con la title track del nuovo album, Hail To The King. Inutile dire che parte del pubblico canta comunque il ritornello a squarciagola, ma è innegabile che il pezzo sia banale e privo di piglio. I ritornelli abbastanza scontati, nonostante risultino ideali per il grande pubblico, scadono immediatamente nella noia più totale che si protrae anche troppo a lungo. Il livello generale del concerto viene quindi ribassato e gli Avenged Sevenfold ne approfittano per prendersi qualche minuto di pausa. 
Syn riapre le danze con la dolce intro di Buried Alive che si trasforma in un tripudio di adrenalina diventando sempre più incalzante e feroce. I soli vengono eseguiti alla perfezione, le linee di batteria di Arin non risultano mai fiacche o poco calzanti -a questo ragazzo va riconosciuto un grandissimo merito, ovvero di portare una grande e pesante eredità sulle spalle ma sempre a testa alta, con molta personalità e dinamismo, senza mai risultare una mera copia- e la voce di Matthew la fa da padrona.

Da qui in poi avremo un escalation di bei momenti, regalati dai pezzi più storici degli Avenged Sevenfold, partendo da Fiction, scelta al posto di So Far Away per ricordare il compianto The Rev, la quale riesce a creare un momento di unione e cordoglio tra tutti i fan che insieme agli Avenged Sevenfold ricordano un amico andato via troppo presto; si passa poi attraverso NightmareBeast And The Harlot -una bella chicca direttamente da City of Evil- che fanno scatenare il pubblico senza sosta. Il solo di Synyster toglie ogni dubbio sul fatto che la band non abbia granché voglia di trovarsi sul palcoscenico romano; nonostante sia perfettamente eseguito manca di piglio o più semplicemente di voglia, con un Gates al minimo rispetto alle sue vere capacità. Finito il solo ci si trova di fronte ad un altro gran pezzo, quale Afterlife, che mette in mostra tutta la bellezza dell’album omonimo della band. Arrivato il momento di Sad But…, ehm This Means War, si tocca il fondo per quanto riguarda i pezzi davvero brutti. Come dicevamo ci si trova di fronte ad una scopiazzatura -venuta molto, molto, male- di Sad But True dei Metallica da cui carpisce completamente il riff portante e di cui cerca di replicare persino l’andatura. Detto ciò, la mia speranza che tali pezzi potessero rendere leggermente meglio live svanisce completamente, in quanto la suddetta canzone in questa versione è ancora peggio, risultando persino più prolissa. L’ultima traccia prima dell’encore finale è Almoast Easy che con il suo ritmo quasi sincopante mostra ancora una volta la grandissima validità di Avenged Sevenfold, un disco estremamente equilibrato, pieno di spunti variegati e dalle tinte a tratti assai progressive; a dimostrarlo ancor di più è la prima dei due bis, la meravigliosa A Little Piece Of Heaven proveniente sempre dal bianco album degli Avenged Sevenfold, che mette in risalto la vena più innovativa della gruppo californiano, con quel sound unico che un tempo li contraddistingueva. Il pezzo viene eseguito alla perfezione e qui a cantare sono proprio tutti; unica piccola pecca è la mancanza -almeno a noi è sembrata tale, ma a causa dell’acustica molto stentata potremmo anche sbagliare- delle registrazioni con la voce di Jimmy sul pezzo. La chiusura finale viene lasciata all’unico pezzo ripescato direttamente dal secondo disco della band, quelli del tanto scandaloso “metalcore”, Unholy Confession, una tra le più belle di tutto Waking The Fallen e anche tra le più abbordabili vocalmente per Matt, che è stato costretto ad abbandonare lo scream proprio a causa di problemi vocali. Il pezzo finisce, gli Avenged Sevenfold ringrazia, lancia plettri e bacchette -per cui alcuni fanno letteralmente a violenti spintoni, tirando giù chiunque, in modo da accaparrarseli- e si ritira definitivamente dietro le quinte.

Le conclusioni che si arrivano a tirare alla fine sono abbastanza amare. Ci si è trovati di fronte ad una band che nonostante tutto risulta ottima nella pura esecuzione musicale, che dal proprio canto ha grandissime composizioni, degne sotto ogni aspetto, ma che attualmente non è né carne né pesce. Gli Avenged Sevenfold risultano un gruppo che si trova spaesato, che cerca di percorrere una via non propria, cavalcando la cresta dell’onda di un metal “classico” che probabilmente gli permetterà di acquisire diversi nuovi fan, ma che sicuramente sacrifica quella tanto agognata originalità che si erano ritagliati con fatica e sudore ai tempi in cui James dormiva nel garage dello stesso Syn. Uno spettacolo amaro, suonato da musicisti visibilmente svogliati -fatta eccezione per Johnny Christ che per tutto lo spettacolo ha divertito il pubblico con gag a dir poco esilaranti- che portano in tour un album di cui probabilmente loro stessi non sono convinti. Gli Avenged Sevenfold che ha creato tanto in poco tempo e che al momento si ritrovano senza più nulla in pugno, forse proprio per la mancanza di quel membro fondamentale che dava più sprint a tutto e che forniva quella vena unica e particolare. Speriamo davvero che si possano riprendere e che possano creare qualcosa all’altezza -altrimenti sarebbe preferibile il nulla- e regalarci finalmente uno spettacolo degno di questo nome.  powered by Kick Agency -