Bruce Springsteen @ Rock in Roma 2013

Cliente: THE BASE

11 Luglio 2013

Se c’è un personaggio che ha incarnato pienamente gli Stati Uniti d’America del XX secolo, questo è Bruce Springsteen. Il suo modo personale, efficace ed emozionale di raccontare il Sogno Americano, è roba da far studiare nelle scuole. I suoi concerti infiniti, poi, sono ormai leggenda. Mancare all’appuntamento con la storia in quel di Capannelle sarebbe stato un crimine contro l’umanità. Perché sapevamo già che, a fine spettacolo, saremmo andati via più ricchi, felici e riconciliati col mondo.  Intorno alle 17.30 già tanta gente assiepata dinanzi al mastodontico palco del Boss, sul quale sventolano la bandiera italiana e quella a stelle e strisce. Roma, nonostante l’ormai immancabile monsone pomeridiano che si è abbattuto non poco distante da Capannelle, regala un meteo clemente. Bellissima, poi, l’eterogeneità anagrafica dei presenti: intere famiglie, tanti giovani, bambini.

Il sole pian piano cala sull’Ippodromo quando, accompagnato dalle meravigliose note di “C’era una volta il West” di Ennio Morricone (mai intro fu più azzeccata), sale sul palco Bruce Springsteen, affiancato dalla sua fida E-Street Band. L’ovazione è unanime. Si comincia con ‘Spirit In The Night’, meraviglioso estratto del suo primissimo album ‘Greetings From Asbury Park, N.J.’, datato 1973. Vedere Bruce Springsteen quasi sessantaquattrenne muoversi così agilmente sul palco, con tanto carisma e tanta voglia di suonare, è un’emozione impagabile. Ama il contatto con il suo pubblico, non a caso non vi è distanza alcuna tra l’immenso palco e la folla, sulla quale spesso e volentieri il Boss si staglia stringendo mani a destra e a manca. L’affiatamento con la E-Street Band, poi, è palpabile su ogni passagio dei brani. Bruce Springsteen dirige i suoi musicisti come un direttore d’orchestra, lasciando a ciascuno il giusto spazio per far risaltare le rispettive e innegabili doti artistiche. Su tutti, il sassofonista Jake Clemons, nipote del compianto Clarence Clemons, membro storico della band prematuramente scomparso nel 2011.

‘My Love Will Not Let You Down’ cede il passo a ‘Badlands’, primo estratto da ‘Darkness On The Edge Of Town’, acclamatissima dal pubblico. Dall’ultimo disco ‘Wrecking Ball’ il Boss esegue ‘Death To My Hometown’, brano in cui l’influenza del folk (soprattutto di matrice irlandese) si fa sentire prepotentemente, con tanto di fisarmonica e violino a richiamare sonorità da pub. Una delle peculiarità dei concerti di Bruce Springsteen è la possibilità per il pubblico di scegliere alcuni pezzi della scaletta in tempo reale. In tanti, assiepati sotto al palco, sventolano cartelloni con i nomi dei brani che gradirebbero. Bruce Springsteen li seleziona al momento e li esegue: considerando la vastità del suo repertorio, ci si chiede come facciano i suoi musicisti ad esser subito pronti all’esecuzione.

Fra i pezzi selezionati tra le proposte del pubblico, il classico di Eddie Cochran ‘Summertime Blues’ (di cui mi piace ricordare la stupefacente e acidissima versione dei Blue Cheer nel loro seminale ‘Vincebus Eruptum’), ‘Stand On It’ (il cartellone riportava una dedica per un anniversario di matrimonio), ‘Working On The Highway’, ‘Candy’s Room’, ‘Brilliant Disguise’. Su tutte, però, si staglia innegabilmente ‘New York City Serenade’, ultima traccia di ‘The Wild, The Innocent & The E Street Shuffle’, uno dei brani più apprezzati dai fan e meno suonati dal Boss, eseguita qui a Roma per la prima volta nella storia fuori dagli Stati Uniti in una magistrale versione che ha visto protagonisti gli archi dell’Orchestra Roma Sinfonietta: senza dubbio uno dei momenti più alti del concerto. Dal medesimo album vengono tratte anche ‘Kitty’s Back’, ‘Incident On 57th Street’ e l’apprezzatissima ‘Rosalita (Come Out Tonight)’.

Tutti i brani vengono allungati da momenti strumentali di pregevolissima fattura, nei quali anche Bruce Springsteen ricorda a tutti, se non bastasse la meravigliosa voce, le sue doti di chitarrista. Spazio anche ai lavori più recenti, con ‘The Rising’, scritta all’indomani della tragedia dell’11 settembre, e ‘Waitin’ On A Sunny Day’, sulla quale fa cantare un bambino. Su ‘Tenth Avenue Freeze Out’, brano in cui vengono tributati gli scomparsi Clarence Clemons e Danny Federici con una carrellata di loro immagini sui maxischermi, Bruce e la band salutano il pubblico dopo quasi due ore e quaranta di concerto.

Parlare di bis, tuttavia, sarebbe improprio, perché Bruce Springsteen  non accenna nemmeno ad abbandonare il palco e riparte con l’inno ‘Born In The U.S.A.’, seguito a ruota dalla stupenda ‘Born To Run’, sulla quale cantano tutti, anche nelle retrovie. ‘Dancing In The Dark’ vede ulteriormente coinvolto il pubblico, e non solo per il canto. Una coppia nelle primissime file esponeva un cartello in cui, in soldoni, la ragazza affermava che se avesse ballato con Bruce, il suo ragazzo le avrebbe chiesto di sposarla. Ovviamente tutto ciò è avvenuto, con tanto di dono dell’anello sul palco e benedizione ufficiale del Boss. Roba da raccontare ai nipoti e al mondo. Così come due ragazze potranno vantarsi di aver suonato insieme al Boss, che le rifornisce prontamente di due chitarre acustiche per farsi accompagnare nella coda di un pezzo. Concerto finito? Nemmeno per sogno. Due cover per far ballare tutti i presenti e avvalorare il trionfo definitivamente: ‘Twist and Shout’, classico dei Top Notes reso ovviamente celeberrimo dai Beatles, e ‘Shout’ dei The Isley Brothers. E quando la band lascia il palco, Bruce Springsteen cala il suo asso definitivo, eseguendo una versione meravigliosa di ‘Thunder Road’, accompagnato esclusivamente dalla sua armonica e dalla chitarra acustica. Il rito messianico è servito e, dopo quasi tre ore e mezza, la liturgia è conclusa, nuovamente sulle note di “C’era una volta il West”.

Un artista da tramandare ai posteri, un concerto che resterà scolpito imperituro nel cuore dei presenti. Perché Bruce Springsteen è ancora un istrionico showman, una delle rockstar definitive. Un timbro vocale impareggiabile e invidiabile, una band affiatata e dotata, la capacità di far mantenere alta l’attenzione del pubblico per ore ed ore nel modo più naturale possibile, senza particolari trovate sceniche, soltanto attraverso la sua musica, le sue parole. Soprattutto, attraverso il suo sorriso contagioso. Di una spontaneità che ti fa convincere che, in fondo, nonostante le difficoltà che la vita ci pone di fronte, c’è sempre speranza nel sogno, qualunque esso sia. Profeta di tutto ciò è ancora un allegro e carismatico sessantenne che non ne vuol sapere di abbandonare i palchi del mondo e di narrarci le sue storie, con umiltà e passione. È questa la grandezza dell’artista Bruce Springsteen, questo il motivo per il quale, sebbene il soprannome non gli piaccia poi così tanto, Bruce Springsteen era, è e sarà per sempre The Boss. - powered by Kick Agency -